L’architettura organica di Frank Lloyd Wright

Frank Lloyd Wright è considerato uno tra i più importanti ed influenti architetti statunitensi del ventesimo secolo; nato nel Wisconsis nel 1869, nella sua lunga carriera eseguì circa un migliaio di progetti, di cui ben 532 furono realizzati, arrivando ad elaborare una propria particolare concezione dell’architettura, quella che lui stesso definì architettura organica.

 

Secondo la teoria di Wright, qualsiasi opera architettonica deve essere pensata in relazione all’ambiente che la circonda, e dunque realizzata assecondando quelle che sono le caratteristiche della realtà in cui andrà a collocarsi.

Lo spazio architettonico non deve quindi essere un mero contenitore, bensì un ambiente vivo e stimolante, che sia sempre in continuo e reciproco contatto con l’esterno, poiché l’abitare è un’attività organica, ossia rispondente unicamente alle sole leggi della natura.

Nelle sue opere, ed in particolare in quelle a carattere residenziale, Wright ricerca insistentemente il dialogo tra l’edificio e l’ambiente esterno, organizzando la costruzione in piani prevalentemente paralleli al suolo in modo da sottolinearne l’orizzontalità ed eliminando il concetto di abitazione come scatola chiusa, facendo fluire l’uno nell’altro gli elementi che la compongono, quali soffitti, pavimenti, tetti e pareti.

A questo proposto egli scrisse “Le case dell’uomo non dovrebbero somigliare a scatole che splendono al sole… qualsiasi edificio destinato ad essere usato dall’uomo dovrebbe essere un tratto del terreno primordiale, solidale, complementare al suo ambiente naturale.”

 

L’opera più celebre e maggiormente emblematica della filosofia dell’architetto americano è senz’altro la cosiddetta Casa sulla cascata, commissionata dal miliardario Edgar J. Kaufmann e realizzata nel 1936 in Pennsylvania, immersa in un fitto bosco e collocata su uno sperone roccioso, proprio in corrispondenza del punto in cui il percorso del torrente Bear Run si interrompe creando una piccola ma suggestiva cascata.

L’ardita costruzione non si presenta affatto come un corpo estraneo al paesaggio naturale in cui è collocata ma, anzi, l’edificio risulta perfettamente inserito nell’ambiente circostante, tramite il succedersi dei vari piani che ora si arretrano, ora si protraggono, creando un gioco di volumi che si intersecano e si accavallano nello spazio, dando l’impressione di fluttuare nel vuoto, al di sopra della cascata.

L’asimmetricità dei corpi e lo slittamento dei volumi non sono casuali, bensì riflettono ed allo stesso tempo esaltano l’organico disordine della natura di quei luoghi.

Anche i materiali utilizzati, ossia la pietra per le strutture verticali, il legno per i rivestimenti interni e il calcestruzzo armato per gli elementi a sbalzo, ribadiscono l’integrazione tra architettura e natura, fondendosi con i colori delle rocce e degli alberi del paesaggio circostante.

Internamente, i soffitti bassi e le pareti vetrate inducono il fruitore a rivolgere lo sguardo all’esterno, creando una comunicazione continua tra lo spazio chiuso e ciò che lo circonda, permettendo all’edificio di vivere in simbiosi con l’ambiente in cui è immerso.

Al riguardo Wright osservò “Ho tolto l’oppressione della chiusura in ogni angolo, in alto e dalle parti e lo spazio ora può esplodere e penetrare dove la vita è vissuta”.

 

Sicuramente meno conosciuta rispetto alla Casa sulla cascata, ma non per questo meno rappresentativa delle teorie di Wright sull’architettura organica, è l’abitazione progettata nel 1948 per la signora Clinton Walker in California, più precisamente a Carmel-by-the-Sea, conosciuta come Cabin on the Rocks.

La casa, che si affaccia direttamente sull’oceano, fu progettata rispettando le singolari esigenze della committente, che desiderava un edificio che fosse “resistente come le rocce e trasparente come le onde”.

Seguendo queste specifiche richieste, il noto architetto realizzò la costruzione poggiandola su massi di granito, rivestiti in pietra locale, a cui dette una particolare forma che ricorda la prua di una nave.

L’abitazione, che si dispone su un unico piano in modo tale da accentuare l’orizzontalità delle linee, adagiando in tal modo le forme sulla scogliera, presenta un tetto rivestito in rame di un colore che ricorda quello del mare.

Secondo l’intento di Wright, le increspature delle onde del mare sarebbero andate idealmente ad unirsi alle linee della casa, creando una melodia naturale ed inoltre, osservando la costruzione nella sua interezza, l’effetto complessivo che viene trasmesso è proprio quello di una nave che si prepara ad affrontare il mare.

Internamente, il salone principale, di forma esagonale e con le pareti interamente vetrate, permette una visuale a 360° sull’oceano, confermando ancora una volta l’interazione continua tra l’ambiente interno e quello esterno propria dell’architettura organica.

La casa, dal design assolutamente accattivante, sorge in una bellissima location che permette una vista mozzafiato sull’oceano, tanto che fu utilizzata anche come set cinmeatografico nel film del 1959 “A Summer Place”.